LA FONDAZIONE DEL CLUB : 15 febbraio 1958
Nasce un impegno sottoscritto da ventiquattro aquilani
(Tratto dalla pubblicazione: “Quarant’anni in sintonia con i problemi della città“)
La data di costituzione del Club dell’Aquila è quella del 22 settembre 1957. Le procedure per l’incorporazione nella International Association of Lions Clubs seguirono il normale iter, per giungere in termini rapidi alla consegna della Charter.
Fu Club Sponsor dell’incorporazione quello di Pescara, costituitosi nel 1953, e che già nel 1955 era stato sponsor di quello di Chieti. LAquila era il terzo club a costituirsi in Abruzzo, e la Charter Night ebbe luogo, nei locali del “Grande Albergo”, il 15 febbraio del 1958.
La Carta di costituzione fu sottoscritta da ventitré aquilani, che qui vogliamo ricordare con una semplice elencazione alfabetica.
Soci Fondatori: Luigi Alesi, Concezio Alicandri Ciufelli (Sulmona), Germano Barattelli, Gaetano Bellisari, Enrico Carli, Dario D’Armi, Domenico D’Ascanio, Goffredo De Paolis, Salvatore Di Paolo, Ilio Fanini, Nicola Farina, Bernardino Feneziani, Vincenzo Franceschelli, Mario Gramellini, Pierluigi Inverardi, Lionello Lopardi, Luigi Ludovici, Mario Papini, Mario Puglielli, Mario Sangiorgio, Gioacchino Scarsella, Domenico Spennati, Lamberto Vecchietti-Poltri, Fernando Zecca.
Fu l’avv. Salvatore Di Paolo il primo presidente aquilano.
Il racconto dei soci fondatori
(Interviste di Angelo De Nicola tratte dalla publicazione: “1957-2007: Ricordare il passato, programmare il futuro”)
Intervista al socio fondatore Germano Barattelli
“…E come posso dimenticare quella prima Charter. Quella sera, al ballo nei saloni del “Grande Albergo”, conobbi una ragazza meravigliosa che sarebbe diventata mia moglie”. Germano Barattelli, classe 1925, a dispetto della sua fibra forte di imprenditore navigato, si lascia sopraffare dal magone alla gola. A stento riesce a rintuzzare le lacrime: “Il Lions, il Club, per me è stata una parte importante, fondamentale direi, della mia vita soprattutto per quella amicizia vera che s’è instaurata tra di noi”.
L’amicizia, appunto. Tutto nacque per merito di quattro amici al bar…
“Credo fossimo in 25 quella sera che gli amici Fernando Zecca e Gino Ludovici mi invitano a cena al “Grande Albergo”, in quella sala oggi attigua al bar, perchè si doveva costituire un Club. Ci si conosceva tutti, tranne ricordo, alcuni che veniva da fuori, da Sulmona mi pare. L’avvocato Di Paola ci illustrò i fini di questa nuova associazione mettendo l’accento, lo ricordo bene, lui che era socialista, sul fatto che il Club non aveva alcuna finalità politica”.
Avevi 33 anni: eri tra i più giovani…
“Trentatrè anni e scapolo. Della mia stessa età, c’era Gigino Alesi. Certo, non ci mancava l’entusiasmo tanto che subito dopo la fina della cena “ufficiale”, spesso la serata continuava in un mio casale in contrada Sant’Antonio e si tirava tardi. Erano altri tempi. Eravamo come fratelli”.
Quindi arrivò la prima Charter. Che ricordi hai?
“A parte quello, che ho già detto, legato al fatto che al ballo conobbi la mia futura moglie che, giovanissima, era presente perchè figlia del socio Mario Papini, dell’Ispettorato del lavoro, ricordo che si pose il “drammatico”, almeno per noi più giovani, problema di dover indossare lo smoking. Si decise che tutti i soci si sarebbero presentati in smoking. Così contattammo i due sarti che, allora, andavano per la maggiore in città: Pomante e Catitti. Ricordo le peripezie di Enrico Carli che, in quegli stessi giorni, andava sposo. Eravamo in fibrillazione. Andò tutto bene. Una Charter in smoking oggi? Beh, io dovrei dargli una calibrata ma ce l’ho ancora sotto naftalina come ricordo dei bei tempi”.
La serata filò liscia tranquilla nei saloni del “Grande Albergo”…
“Liscia? Direi di più. Io ballai tutta la sera con una ragazza affascinante sulle note di una orchestra dal vivo, come si usava allora. A parte la Charter, ogni serata importante era un evento prima, durante e dopo”.
Prima?
“Sì, perchè a me, Peppe Santoro e Gino Ludovici cui poi si aggregò poi anche Lamberto Sulli, venne affidato l’incarico di organizzare le serate importanti: Charter e feste degli auguri. Ed era una festa anche per noi: la sera, dopo il lavoro, andavamo nel locale prescelto, il “Grande Albergo” prima ed il “Tetto” poi, per preparare tutto, addobbi e quant’altro. Spesso finivamo a notte fonda. Addirittura i gestori del “Grande Albergo” ci consegnavano le chiavi del locale. Eravamo un gruppo di giullari: ci siamo divertiti un mondo!”.
Più volte segretario e tesoriere, come l’altro fondatore vivente, Enrico Carli, non hai mai fatto il presidente. Curiosa questa coincindenza?
“No, c’è una spiegazione. Non sono mai stato un grande oratore in pubblico: mi blocco se non ho un appunto scritto, è un mio grande limite. Ma a parte questo, io ed Anna Maria abbiamo vissuto il Club davvero come un gruppo di amici. Sicchè, un anno fui eletto presidente, all’unanimità, per alzata di mano, come si faceva allora. Tornai a casa e Anna Maria mi disse chiaro e tondo che questo ruolo di rappresentanza a lei non andava affatto a gennaio. Fui costretto a rinunciare. Credo di aver fatto la scelta giusta”.
Come dire: “comandano” sempre le mogli?
“A parte gli scherzi, non credo che qualcuno possa smentirmi sul fatto che il Club lo hanno fatto le nostre mogli. Sono state loro a cementare amicizie, a dettare certe linee fondamentali. Chi può negarlo? Ed ecco perchè eravamo “contrari” all’ingresso nel club del gentil sesso: già c’era e comandava pure! L’ingresso delle donne come socie ha invece dato un tocco di concretezza in più al movimento. E’ stata una decisione, credo, importante per un futuro migliore del Lions”.
Il futuro, appunto. Come lo vede un fondatore con 50 anni di esperienza sulle spalle?
“Lo vedo bene. Anzi, credo che il Lions sia indispensabile, almeno in un ambiente come quello della nostra città per la sua capacità di aggregare le persone. Questa è stata la caratteristica decisiva: l’aggregazione. Almeno due volte al mese, ci si riuniva per stare insieme e per valutare cosa potesse esser fatto di buono per la nostra città. Il Lions Club ha svolto una funzione sociale fondamentale e non deve perdere questa sua caratteristica. Perciò, innanzitutto, aggregazione tra i soci attraverso service sempre più ficcanti ma anche gite sociali che io ritengo importantissime per coinvolgere, nello spirito giusto, il maggior numero di soci possibile. Certo, i pericoli sono tanti”.
Il più insidioso?
“Quello di accettare nel Club soci che non vivano la città, la realtà del territorio di riferimento. Si creerebbe uno scollamento difficile da sanare perchè viene meno la spinta decisiva. Noi abbiamo fatto dell’amicizia e del nostro impegno civico, nei nostri rispettivi ruoli e professioni, il collante della vita del Club. Ognuno ha cercato di portare nel Club i propri amici perchè sapeva che su di essi poteva contare vedendoli all’opera nella vita di tutti i giorni. E mi pare che questa creatura che ha tanti padri e che ogni anno si rinnova nelle persone che devono accudirla, sia cresciuta bene”.
Il tuo bilancio di 50 anni di Lions è, dunque, positivo…
“Più che positivo. Sono entusiasta. Il Club io lo amo nel profondo”.
E l’iniziativa che, in questi lunghi 50 anni, ti genera il maggior tumulto dentro?
“Scelta difficile, tra tante bellissime e significative. Forse “L’Aquila d’oro”, ovvero la scultura realizzata dall’avvocato Nino Scarsella, quale simbolo del premio che il Lions Club dell’Aquila consegnava ad una personalità che si era particolarmente distinta, soprattutto sotto il profilo etico. Ricordo che un anno venne consegnato al cardinale Carlo Confalonieri. Era una grande responsabilità, per il Club, arrogarsi una simile scelta. Questo, però, ci induceva ancora di più a rigare dritto”.
Intervista al socio fondatore Enrico Carli
“…E chi se lo può scordare quell’anno, il 1958! In quell’anno sposai l’amata Ida, in quell’anno passai dal “Messaggero” al “Tempo” dove poi sono rimasto una vita, in quell’anno partecipai alla prima Charter del Lions Club. Che anno quel 1958!”.
Enrico Carli non ha bisogno di aiuti per tornare a quell’annata speciale. La memoria lo assiste, a dispetto dei suoi quasi 90 anni che si appresta a compiere l’8 settembre di quest’anno, il 2007, l’anno che segna il cinquantenario del Lions Club dell’Aquila. Enrico, classe 1917, ricorda tutto (“O quasi tutto” si schernisce) della sua intensissima vita lionistica che tutt’oggi lo vede in prima linea, sempre, dovunque, con il piglio del giovanotto, sbarazzino su quella sua Cinquecento per la quale, come per il padrone, il tempo non sembra passare mai. Cinquant’anni di Lions e non sentirli da quella prima riunione al “Grande Albergo” convocata dall’avvocato Salvatore Di Paolo.
Fu un vero “ingorgo”, per te, quell’anno…
“Proprio così. La Charter venne fissata per il 15 febbraio. Io nel frattempo avevo già fissato la data del matrimonio: il 28 gennaio. Con Ida partimmo per il viaggio di nozze. Andammo in Sicilia, con l’automobile fino a Napoli e poi in treno. Erano altri tempi! Andare in viaggio di nozze nelle Antille e nelle Seichelle allora si poteva solo sognare”.
Facesti appena in tempo a tornare per la Charter…
“Non potevo mancare. Tornai il giorno prima ma c’era il problema dello smoking”.
Problema?
“Io e Germano Barattelli avevamo ordinato lo smoking dal sarto Pomante, che aveva la bottega in piazza Duomo. L’artigiano, originario del teramano come il suo maestro Catitti, aveva telefonato più volte a casa mia ma non mi aveva trovato: ero in viaggio di nozze. Così la mattina stessa della Charter andai a provarmi lo smoking ancora tutto da cucire. Fresco dal viaggio di nozze, assai intrigato da questa prima Charter, l’entusiasmo era alle stelle”.
Ma a chi era venuta l’idea dei costituire il Club?
“Di Paolo frequentava la zona di Ortona e di Pescara. Lì aveva visto nascere, nel 1954, il Club di Pescara ed aveva visto all’opera, per il lancio dell’idea lionistica, il suo collega, l’avvocato pescarese Gudi Alberto Scoponi. Così lanciò l’idea all’Aquila. All’epoca i giornalisti in città erano pochi e molto in vista. Perciò fui contattato ed aderii subito, con entusiasmo”.
Dunque, arriva il giorno della la Charter al “Grande Albergo”…
“Era davvero la sede ideale con i suoi immensi saloni che oggi non ci sono più, occupati da una banca. Anche il Rotary, che era nato prima, si riuniva lì e spesso venivo invitato. E lì, subito dopo la Guerra, organizzavamo le feste da ballo dell’attivissima Asu, l’Associazione degli studenti universitari, che aggregava la migliore società aquilana”.
Ricordi quella serata?
“Una bella cerimonia con consegna del distintivo con la scritta “Charter” che io conservo ancora e che qualche volta torno ad indossare con orgoglio; la solita cena; il “solito” ballo sulle note di un orchestra dal vivo con dieci elementi. La serata fu bellissima. Altri tempi!”.
Tutti in smoking?
“Tutti. Certo, i tempi sono cambiati. Oggi si può anche andare ai meeting senza cravatta”.
Tutti amici…
“L’amicizia ha cementato il Club. L’amicizia tra i soci ha consentito al Club di toccare questo importante traguardo del mezzo secolo. L’amicizia, per me, non è una parola vuota. E questo lo devo molto al Lions”.
Troppo amico di tutti per fare il presidente? Come mai non hai mai guidato il Club?
“Ho fatto il vicepresidente, il segretario, il cerimoniere, per due volte anche l’addetto stampa distrettuale con i Governatori Gaetano Bellisari e Scoponi. E non era come oggi: si lavorava in condizioni difficili, senza le facilitazioni delle tecnologie di oggi. Ricordo che dalla sede centrale mi arrivavano i ritagli di stampa con i quali provvedevo a redigere gli articoli. Era un lavoraccaio tanto più che si doveva fare i conti anche con quella Puglia che, da sola, faceva un Distretto. Il distacco ha risolto tanti problemi”.
Sì, ma perchè non hai fatto mai il presidente?
“Ho citato il mio impegno lionistico per dimostrare che non ho scansato le responsabilità nel Club. Avevo un mucchio di impegni. Mandavo avanti “Il Tempo”, avevo le corrispondenze del Corriere della Sera e della Rai, per non parlare del negozio di mia madre. Il presidente è sempre stato un ruolo affidato ad una persona che avesse tempo ed energie per prendere contatti, dedicarsi al Club anima e corpo. Forse, s’è valutato che non ce l’avrei fatta a sostenere un impegno simile”.
Qualche rimpianto, oggi, di non averlo fatto?
“No, affatto. Ho dato al Club tutto quello che potevo dare ricevendo tantissimo in cambio. Quando Ida, nel 1987, mi ha lasciato, anche il Club è diventato un po’ la mia famiglia”.
Bilancio positivo, dunque?
“Oltremodo positivo. Soprattutto per questa “rifondazione” continua del Club. Oggi parliamo dei 50 anni della fondazione, ma il Club si rifonda ogni anno e questo lo rende forte, capace di rispettare il mandato di servizio che è alla sua base”.
E i ricordi più significativi?
“Difficile fare una cernita tra tanti così belli. Ricordo l’avvocato Gioacchino Scarsella che, in tempi in cui l’Europa Unita era in mente dei, realizzò una serie di pubblicazioni, sostenute dal Club, sulla Giustizia comparata con le altre nazioni europee. A lui è legato, per me indelebilmente, il ricordo della grande amicizia tra noi soci: gli faceva sempre male la testa, tanto che spesso doveva poggiarla su un cuscino che portava con sè. All’improvviso ebbe un ictus: alcuni soci, tra cui Gino Ludovici, lo trasportarono personalmente a Roma per poter fare un esame Tac. Lo riportarono, purtroppo, che non c’era più nulla da fare. Questi erano i soci del Lions Club”.
Altri ricordi?
“L’ho detto, tanti. Il contributo per la campana di Rovereto, la visita al sacrario di Andrea Bafile a Guardiagrele, i contatti con alti ufficiali promossi in particolare da Ezio Villante, la lotta alla droga di Carlo Biamonti che era stato medaglia d’oro. Per me che ho fatto cinque anni di militare, tutto ciò assumeva un significato profondo. Ecco, un mondo che non c’è più”.
E il futuro del Lions? Come lo vedi?
“Rispetto a cinquant’anni fa, la società s’è andata affollando di istituzioni che dicono di avere gli stessi scopi, più o meno, del Lions. Si tratta perciò, di perpetrare e difendere certi valori. Di scegliere i soci tra quelle persone che abbiano la caratteristiche giuste. E che siano disposti a puntare tutto sull’amicizia, ossia quel sentimento che può cambiare il mondo, anche questo mondo d’oggi che sembra non avere più grandi valori. Ci vuole coscienza”.
Coscienza?
“Noi Lions non dobbiamo fare le cose perchè gli altri parlino di noi ma per ottenere un risultato davanti alla nostra coscienza. Dobbiamo “servire”, in coscienza. Questi sono i Lions”.